Intervista a Rino DI MARTINO - ATTRAVERSAMENTI 2025
“Bisogna puntare all’autenticità”
Intervista all’attore Rino Di Martino
Abbiamo incontrato Rino Di Martino, attore teatrale napoletano, classe 1949, in occasione della prima nazionale della performance “Il divino labirinto delle cause e degli effetti”, produzione MDA / OBLIQUO, a cui prenderà parte il 21 giugno. Ci troviamo nell’ambito di “Attraversamenti”, il festival che anima l’estate romana con teatro, musica, danza, talk e molto altro, promosso dal Parco Archeologico dell’Appia Antica e da Teatri di Pietra. Proprio nell’Area mausoleo Cecilia Metella, carica di storia e silenzi, dove ogni pietra sembra custodire una memoria, Rino Di Martino insieme ad Elisa Carta Carosi, Paola Saribas e Margherita Petrosino, daranno vita ad una performance che intreccia sacro e umano.
Quanto e come incide l’identità napoletana nel suo modo di fare arte?
La tradizione artistica di Napoli, che abbraccia musica, danza, teatro e arti visive, rappresenta per me una fonte inesauribile di ispirazione. Napoli è rinomata per la sua intensità emotiva, e questa passione profonda si riflette nel mio approccio all’arte, in cui cerco sempre di trasmettere sentimenti autentici e veri.
Parliamo del danzateatro e della sua peculiarità di realizzare una drammaturgia inedita, capace di evidenziare il Genius Loci. Qual’è la sua personale intuizione del Genius Loci dell’Area mausoleo Cecilia Metella, luogo in cui avverrà la performance “Il divino labirinto delle cause e degli effetti”?
Il danzateatro possiede un’abilità unica: quella di costruire una drammaturgia che non solo intrattiene, ma riesce anche a cogliere e restituire l’essenza profonda di un luogo – il suo Genius Loci. Nel caso dell’Area mausoleo Cecilia Metella, la mia personale intuizione è che non si tratti soltanto di un monumento sorico, ma di un autentico crocevia di storie, emozioni e memorie. Il Mausoleo, con la sua maestosità e il suo legame profondo con la storia romana, suscita sentimenti di grandezza ma anche di transitorietà. La sua imponenza ci ricorda quanto sia fragile la vita e quanto sia importante vivere pienamente ogni singolo momento. Ed è proprio questo dialogo tra passato e presente che intendiamo esplorare nella nostra performance “Il divino labirinto delle cause e degli effetti”. Il Genius Loci, in questo caso, è per noi un invito a riflettere sull’esistenza, a riconoscere le connessioni tra le scelte che compiamo e le conseguenze che ne derivano – il tutto immersi in un contesto colmo di storia, significato e memoria.
In un’epoca disorientante anche per i continui e veloci cambiamenti, cosa ne pensa dell’impegno di Teatri di Pietra nel ricucire il rapporto profondo tra uomo, paesaggio, arte ed archeologia?
In un momento in cui tecnologia e globalizzazione rischiano di allontanarci dalle nostre radici culturali, le iniziative come quelle organizzate da Teatri di Pietra assumono un valore fondamentale. Ci ricordano quanto sia importante restare ancorati al nostro contesto, ritrovare il senso di appartenenza attraverso l’arte e la memoria dei luoghi. In questo senso, l’arte diventa strumento vivo per riscoprire e valorizzare il nostro patrimonio, promuovendo un dialogo autentico tra passato e presente, tra individuo e collettività.
Ne “Il divino labirinto delle cause e degli effetti” si esplora il bisogno umano di costruire labirinti – fisici o mentali – per cercare di comprendere la realtà. Tuttavia, questi labirinti, per loro natura, generano smarrimento e meraviglia, rivelando i limiti di una visione puramente razionale del mondo. In base a questo, che tipo di lavoro ha fatto per preparare il suo personaggio?
All’inizio ho cercato di comprendere le motivazioni e le emozioni che guidano il mio personaggio, esplorando il contesto in cui si muove e le relazioni che intreccia con gli altri protagonisti, cercando di cogliere in che modo le sue esperienze passate possano influenzare le scelte presenti. È stato dunque un lavoro sulla psicologia e sulla storia stessa del personaggio, oltre che un lavoro fisico di danza. Ho lavorato con esercizi di improvvisazione ed espressione corporea per entrare in sintonia con il linguaggio del corpo del personaggio, trasformando la danza in uno strumento capace di esprimere le sue emozioni più profonde e i conflitti interiori. Ho collaborato con il coreografo per sviluppare momenti chiave della performance, cercando di integrare le mie intuizioni con la visione complessiva del progetto. Un elemento particolarmente significativo è stato appunto il rapporto con il luogo della rappresentazione, che conosco bene perché l’anno scorso ci portammo in scena lo spettacolo “Gaius Plinius Secundus – L’ultimo viaggio di Plinio il Vecchio”.
Guardando alla sua lunga carriera, quali sono i cambiamenti più significativi che ha visto avvenire nel mondo del teatro, sia sul piano artistico, che su quello produttivo, da quando ha iniziato, fino ad oggi? In che direzione sta andando la scena contemporanea in Italia?
I primi cambiamenti hanno riguardato soprattutto gli allestimenti: oggi non è più sostenibile, a causa degli alti costi, produrre spettacoli con un grande impatto scenico. Anche la durata della tenitura degli spettacoli nel circuito teatrale italiano si è drasticamente ridotta. In passato, una compagnia poteva rimanere in tournée per una stagione intera, anche sette mesi; ora, se va bene, si riescono a programmare tre mesi. Un altro cambiamento significativo riguarda le produzioni dei teatri stabili, che tendono a scambiarsi le proprie opere, rendendo più difficile la circuitazione per quelle compagnie che non dispongono di un teatro di riferimento. La scena contemporanea, intesa come nuova drammaturgia, è cresciuta molto, ma il numero di compagnie è aumentato a dismisura rispetto alla disponibilità dei teatri. Questi ultimi, non potendo accogliere tutte le proposte – e in assenza di nomi di richiamo – riescono a programmare al massimo uno o due giorni di spettacolo.
Quale consiglio darebbe ad un giovane attore?
Il consiglio che darei è innanzitutto quello di rimanere umile, curioso e sempre aperto all’apprendimento. L’arte della recitazione è un viaggio continuo, in cui ogni esperienza – sia sul palco sia nella vita – può offrire insegnamenti preziosi. È fondamentale non smettere mai di studiare: che si tratti di corsi di recitazione, lettura di testi teatrali o osservazione del lavoro di altri artisti, ogni occasione si apprendimento è un arricchimento. Bisogna puntare all’autenticità: non cercare di imitare, ma portare in scena la propria sensibilità, la propria esperienza e verità nel personaggio.
Livia Filippi
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