Intervista a Gabriele GUZZI - ATTRAVERSAMENTI 2025
“Restituire una visione poetica all’economia”. Intervista a Gabriele Guzzi
Questa sera, 1° luglio, nell’ambito del festival Attraversamenti, promosso dal Parco Archeologico dell’Appia Antica e da Teatri di Pietra, si terrà un incontro speciale che vedrà protagonisti l’economista e poeta Gabriele Guzzi e padre Guidalberto Bormolini. Un talk “Per la poesia infinita del creato” che affronterà uno dei nodi cruciali del nostro tempo: in che modo l’economia – divenuta forza pervasiva e centrale nelle vite sociali, familiari e individuali – può aprirsi a un confronto autentico con la spiritualità?
Classe 1993, romano, Gabriele Guzzi ha alle spalle un percorso singolare che intreccia pensiero economico, impegno civile e ricerca poetica. Laureato con lode in Economia Politica alla Luiss e alla Bocconi, è stato consulente economico a Palazzo Chigi e al Dipartimento della Programmazione Economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, tra il 2018 e il 2022. È autore per testate tra le quali Il Fatto Quotidiano, Limes, Il Sole 24 Ore, e insegna Storia Economica all’Università di Cassino. Dottore di ricerca con una tesi sul rapporto tra Heidegger e Marx, ha recentemente vinto il Premio Flaiano Under 30 con la sua raccolta poetica “Un volto da un vuoto”.
Questa intervista nasce in occasione del suo dialogo con padre Bormolini, per anticipare un confronto che promette di intrecciare economia e spiritualità, interrogando la possibilità urgente di un nuovo umanesimo.
“Per la poesia infinita del creato” è un titolo che evoca qualcosa di abbastanza lontano dai numeri e dai grafici. Come si concilia, per lei, l’economia con la poesia, la spiritualità, il senso del mistero?
L’economia è un linguaggio dell’umano, che nasce dall’umano, dal suo respiro, dalle sue esigenze. Col tempo, ha dimenticato le proprie origini. Si è formalizzata, matematizzata, tecnicizzata. E ancora peggio, ha finito per legittimare un ordine di iniquità e alienazione. Ma questo non è un destino inevitabile. Restituire una visione poetica all’economia – e quindi anche alla politica – è uno dei grandi compiti che ci attendono come società planetaria.
Quali tematiche affronterete nel talk?
La questione centrale riguarda il bivio che stiamo vivendo come società. Assistiamo al dominio sempre più evidente di un sistema fondato sulla guerra, alimentato da menzogna e nichilismo. In questo contesto, l’economia è solo una delle componenti di tale sistema. È necessario coniugare il lavoro interiore con quello storico: la dissoluzione del nostro piccolo ego, impaurito e aggressivo, insieme alla dissoluzione dell’economia della morte. Da queste dissoluzioni, da questi passaggi iniziatici, una nuova civiltà sta già sorgendo. Dobbiamo diventare ministri di questa alba.
Il talk si svolgerà in un luogo particolare che è l’Appia Antica. Che valore ha per lei il Genius Loci, in un’epoca in cui molti luoghi carichi di memoria vengono attraversati frettolosamente dai turisti, ridotti a sfondo per una foto, e per gli abitanti stessi sembrano aver perso la loro funzione originaria di spazio vissuto e condiviso, di luogo di comunità e dialogo?
È una di quelle qualità antiche che oggi va recuperata, nella piena contemporaneità. Essere pienamente moderni e pienamente antichi è la scommessa per vivere creativamente questo tempo. Bisognerebbe vivere questa epoca senza paure ma con uno spessore antropologico profondo: avere radici profonde come abeti. Così, anche i venti di superficie non ci travolgono, ma ci fanno danzare.
Si parla molto di economia sostenibile, transizione ecologica, benessere oltre il PIL. Lei crede davvero che il paradigma economico possa cambiare? Se sì, in che direzione dovrebbe andare?
Sì, lo penso. Ma non credo più a queste parole. Sono state usate e usurate per decenni, e non hanno più un grande significato. Forse, paradossalmente, questo è un bene. Dovremmo tornare alla radice antropologica della questione economica. Non si tratta solo di politiche o riforme, ma della figura stessa dell’essere umano e dunque, di un cambiamento culturale profondo. Questo è il livello minimo di ambizione richiesto per smettere di inseguire luoghi comuni, oramai adottati anche dal potere, e iniziare ad affrontare davvero i problemi alla radice.
Parliamo dello smarrimento dei giovani non solo materiale ma anche esistenziale. I giovani oggi non mancano di talento o sensibilità. Manca forse un orizzonte in cui possano credere. Qual è, secondo lei, il compito più urgente degli adulti?
Iniziare a credere in qualcosa. Se i giovani oggi non credono in nulla, il problema non sono loro, ma gli adulti che hanno dato un pessimo esempio. Se vogliamo che i giovani lavorino su sé stessi, siano prima gli adulti a farlo. Solo l’esempio ha forza trasformativa. Solo l’esempio cura.
Cosa ne pensa riguardo all’instabilità delle nostre politiche culturali a discapito dei talenti del territorio italiano?
Onestamente, temo che oggi, nei canali ufficiali dell’Occidente, non esista più una cultura nel senso autentico del termine. Per trovare qualcosa di realmente vitale, bisogna andare nei luoghi più assurdi. La cultura è qualcosa di reale, non un esercizio autoreferenziale: è il volto più contemporaneo di una società.
Nel 2023 è uscita la sua prima raccolta poetica “Un volto da un vuoto”, parliamone a partire dal titolo.
È il percorso di cui parlavamo poco fa, quello che definisce il lavoro iniziatico che stiamo compiendo. Si articola in due passaggi fondamentali. Il primo è la dissoluzione della maschera: una discesa nel vuoto, negli abissi, come un “grasso capodoglio”, per usare l’immagine della prima poesia della raccolta. Il secondo passaggio è l’emersione di un volto, di una nuova identità che ci riporta in superficie, restituendoci il desiderio di abitare la terra, nutrirci dei suoi frutti e vivere un’esistenza radicale, forse più semplice, ma infinitamente più ricca e degna di essere vissuta.
Quale poesia della raccolta sente più sua?
Direi tutte. A conclusione della nostra intervista, vorrei citare l’ultima, anche la più breve, intitolata “Comprensione iniziale”: “Solo amore io voglio./ Essere un piccolo/ Vangelo.// Sì, ora lo so.// “Questo è il sacramento dell’umano:/ Scrivere una sola buona notizia”.
Livia Filippi
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