TEATRI di PIETRA ANFITEATRO di SUTRI 2023

 Ministero della cultura - Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio
per la Provincia di Viterbo e per l’ Etruria meridionale

Comune di Sutri
 

TEATRI di PIETRA

ANFITEATRO di SUTRI 2023
inizio spettacoli ore 21,00

 

biglietteria presso il sito / online  www.archeoares.it - www.liveticket.it
info www.teatridipietra.it / fb teatridipietra /   whatsapp 351 907 2781  




calendario

sab 8 lug 23
Mda produzioni danza
LA LUPA
da Giovanni Verga
coreografia Carlotta Bruni
musica Marco Schiavoni, narrazione Sebastiano Tringali
con Lucia Cinquegrana, Paola Saribas, Matteo Gentiluomo

dom 9 lug 23
V.A.N. verso altre narrazioni
MENECMI
da Tito Maccio Plauto
regia Collettivo VAN
con Andrea Pacelli, Ivan Graziano, Gabriele Manfredi,  Andrea Palermo
Federica Cinque, Riccardo Rizzo, Gabriele Rametta e Andrea Di Falco
musiche Andrea di Falco e Gabriele Rametta

gio 13 lug 23
MSPD Studios - CRDL APS
CARUSO
regia e coreografie Mvula Sungani
musiche Lucio Dalla, Enrico Caruso,  Autori Vari
costumi Giuseppe Tramontano
con Emanuela Bianchini
ed  i solisti della compagnia Mvula Sungani Physical Dance

sab 15 lug 23
AC Zerkalo
IFIGENIA IN AULIDE
di Euripide, adattamento Fabrizio Sinisi
regia di Alessandro Machìa
con ANDREA TIDONA,  ALESSANDRA FALLUCCHI,  ROBERTO TURCHETTA, CAROLINA VECCHIA
e con Lorenza Molina,  Irene Mori
con la partecipazione di PAOLO LORIMER nel ruolo di Menelao

dom 16 lug 23
TTR  Il Teatro di Tato Russo
GAIUS PLINIUS SECUNDUS
L’ultimo viaggio di Plinio il Vecchio

drammaturgia Diego Sommaripa e Noemi Giulia Fabiano
musica Marco Schiavoni
danza Lucia Cinquegrana, Elisa Carta Carosi, Luca Piomponi
con Rino Di Martino

mar 18 lug 23
CDL - MDA Produzioni
KAIROS
ideazione e drammaturgia  gipeto
musiche a cura di Marco Schiavoni
con gipeto e Cecilia Casini

gio 20 lug 23
 Sicilia Teatro
ELENA o della passione amorosa
di e regia Salvo Bitonti
musiche a cura di Dario Arcidiacono
scena Scuola Scenografia Accademia Albertina di Torino
con Mita Medici

ven 21 lug 23
CASTALIA
LE NUVOLE  
di Aristofane
adattamento e regia VINCENZO ZINGARO
musiche: Giovanni Zappalorto
con Fabrizio Passerini, Piero Sarpa, Riccardo Graziosi, Rocco Militano,
Laura De Angelis, Sina Sebastiani, Valeria Spada

sab 22 lug 23
DEVĪ KUTIR ASD
DEVĪ viaggio nel tempio della Dea
The Divine Feminine through Odissi Dance
danza indiana diretta da Ganga Sheth
e interpretata da Revital Carroll,  Vidisha Mishra, Ganga Sheth

gio 27 lug 23
Torino Spettacoli
GRANDI PROCESSI DELL’ANTICHITÀ
da Cicerone a cura di Gian Mesturino e Elia Tedesco
con la Compagnia Torino Spettacoli

ven 28 lug 23
Agricantus
ULISSE RACCONTA ULISSE
di Beatrice Monroy e Sergio Vespertino
musiche dal vivo Pierpaolo Petta
con  Sergio Vespertino

sab 29 lug 23
PROG SYMPHONY
concerto per coro, soli, quintetto di ottoni,quartetto di sax,
2 chitarre elettriche, sintetizzatore basso e batteria
direzione e composizione M°Vincenzo De Filippo  

dom 30 lug 23
PICCOLA ORCHESTRA MARMEDITERRA - ENSEMBLE VOCALE ALCANTO
MARE NOSTRUM  
concerto per  Voci, pianoforte, violoncello, clarinetto e canto a cappella
direzione e composizione M°Vincenzo De Filippo

ven 4 ago 23
EBE Koinè
PAROLA DI DONNE  
da Omero, adattamento Stefano Sarra e Ornella Marcucci
regia Stefano Sarra
con Daniela Babini, Katia Francescon, Stefania Grano, Ornella Marcucci, Melania
Mastrangelo, Cristina Palma, Liliana Scaffa, Donatella Vinotti, Francesca Zamparelli

sab 5 ago 23
COMPAGNIA ALMATANZ
CARMEN
coreografie Luigi Martelletta
musiche Bizet, autori vari
con i solisti della Compagnia Almatanz







LA LUPA

Ragione e religione sono le grandi alleate e le grandi assenti dall’orizzonte della Lupa. Un racconto che incuriosisce perché parla di libertà, ma al contempo disorienta per la condizione antropologica così estrema, che spinge a interrogarsi sulla potenza e sull’impotenza degli schemi e delle convenzioni sociali. E non è bastante neanche l’ approccio etico che rischia di ridurre la portata esistenziale del lavoro verghiano. La lupa sembra proprio al di là del bene e del male, e non si fa fatica ad avere un occhio benevolo verso di lei proprio perché nel suo orizzonte non è presente la cattiveria, la strategia o la premeditazione. La lupa vive in una dimensione di eccedenza dell’essere, e tutti coloro che si imbattono in lei non possono che rifugiarsi nelle “istituzione” della religione e della Legge.Il brigadiere ed il parroco, infatti, diventano due figure chiave, che tentano di tenere Nanni al riparo dalla tempesta ormonale che irrompe quotidianamente nella sua ordinarietà di contadino e a cui egli cede. La tentazione. Nanni è intercettato in quel che desidera anche lui, che pur ha voluto farsi una famiglia e vivere in modo, come oggi si direbbe, “sistemato”. Il suo progetto di vita tranquilla è scombussolato dall’irrompere di un eros scomposto e irresistibile. Nanni addirittura prega il brigadiere di tenerlo in galera o di ucciderlo.Si diceva dei simboli religiosi. Il diavolo quando invecchia si fa eremita. Di lei si parla come si parlerebbe del diavolo, perché la sua capacità di destrutturare gli equilibri razionali umani è paragonabile soltanto alla forza malefica di satana, con la quale solo la religione può e deve contrastare. Persino Padre Angiolino di Santa Maria di Gesù, un vero servo di Dio, aveva persa l’anima per lei. Quando Nanni, colpito dal calcio di un mulo, sembra star per morire, il parroco addirittura gli rifiuta la comunione finché non avesse cacciato via la lupa da casa sua. Ma quando guarisce, il diavolo torna a tentarlo e a ficcarglisi nell’anima e nel corpo. Il linguaggio di Verga non fa sconti. Nanni è come un posseduto.

Non sapeva più che fare per svincolarsi dall’incantesimo. Pagò delle messe alle anime del Purgatorio, e andò a chiedere aiuto al parroco e al brigadiere. A Pasqua andò a confessarsi, e fece pubblicamente sei palmi di lingua a strasciconi sui ciottoli del sacrato innanzi alla chiesa, in penitenza – e poi, come la Lupa tornava a tentarlo: “Sentite!” le disse, “non ci venite più nell’aia, perché se tornate a cercarmi, com’è vero Iddio, vi ammazzo!” “Ammazzami,” rispose la Lupa, “ché non me ne importa; ma senza di te non voglio starci.” Questo passaggio è emblematico del rapporto che il testo instaura tra tentazione, religione e magia. Amore e morte combattono strenuamente senza alcuna possibilità di compromesso.

E’ una full immersion antropologica di grande senso . Al di là della fabula, alquanto semplice, l’attenzione sta nella tragedia umana a tinte, necessariamente, forti, per essere distante la vita artefatta e omologata del cntemporaneo. E quindi l’autenticità del verismo, di cui Verga è tra i massimi esponenti, ci restituisce un , – un mondo arcaico, scabro, dalle emozioni primigenie, in cui eros ed ethos si battono in un duello che solo nella morte può avere il suo epilogo: - Ammazzami, - rispose la Lupa, - ché non me ne importa; ma senza di te non voglio starci.




MENECMI

Due gemelli, assolutamente identici, perdono le tracce l’uno dell’altro durante l’infanzia e crescono uno a Trapani e l’altro a Napoli. Il gemello napoletano decide di dedicare la propria vita alla ricerca del fratello perduto e lo fa imbattendosi in una dimensione piena di equivoci e intrecci.
Tra le numerosissime opere di Plauto, la nostra compagnia ha scelto di mettere in scena I Menecmi. Le ragioni della nostra scelta dipendono dalle opportunità tematiche che un testo classico come questo offre proprio a partire dalla trama: un uomo sceglie di dedicare la propria vita alla ricerca del fratello perduto.
Quello che in apparenza può sembrare solo una strategia comica per innescare tutti gli equivoci che l'intreccio plautino offre diventa per noi un'opportunità per approfondire la natura umana, l'apparente semplicità delle relazioni con gli altri e, diconseguenza, la necessità di ognuno di noi di riconoscersi tra il caos degli eventi e della vita. Proprio questo caos ci permette di vedere l'alterità, di sentire l'altro e, allo stesso tempo, di riconoscere e farci riconoscere.

In quanto esseri umani noi esistiamo nella nostra soggettività, ma anche e soprattutto nella relazione con gli altri: abbiamo costantemente bisogno che gli altri ci riconoscano e ci diano valore.
Ci è sembrato lecito e onesto verso Plauto, e lo diciamo con cognizione di causa, usare la musica, il canto e la fisicità degli attori per costruire il nostro spettacolo; non erano mai solo dialoghi le rappresentazioni plautine, i cantica ne sono la conferma. Abbiamo, dunque, cercato di rinnovare - in modo coerente al testo - tutto ciò che ci era concesso e possibile fare. Questa sensazione di confusione e disorientamento prettamente plautino è la chiave che conduce attori e spettatori verso l’agognata agnizione finale, risoluzione di tutti gli equivoci e panacea di tutti i mali. Anche i servi qui, non solo i padroni, hanno la loro altissima dignità e le loro speranze di libertà. Plauto è chiaro sin da subito: non possono esistere padroni senza servi e viceversa, non può esistere dignità senza amore e ricerca della verità, non può esistere felicità se non è condivisa, non possono esistere attori che raccontano storie senza spettatori pronti ad accoglierle.

I personaggi che animano la commedia plautina non sono individui che pongono interrogativi complessi sulla propria psiche o etica. Ognuno di loro dichiara senza filtri la propria necessità e il proprio carattere e il pubblico ne sarà immediatamente complice senza alcuna mediazione o riflessione.
La comicità di Plauto, costruita in un continuo oscillare tra forme cantate, forme in versi e forme in prosa, permette a noi attori di mettere in scena un mondo variegato e caotico in cui coesistono personaggi con lingue e atteggiamenti differenti, ma totalmente incastrati e coerenti con l'ambiente e il loro carattere.
Gli intrecci offrono un ventaglio tale di strumenti per la commedia da permetterci di sperimentare e costruire una messinscena che attinge e approfondisce con equilibrio dal teatro e dalla musica, dalla recitazione e dal canto. Lo spettacolo procede cavalcante su un ritmo apparentemente caotico ma meticolosamente orchestrato, alternando canto e recitazione. I due gemelli, ignari della reciproca presenza nel luogo, dovranno ritrovare sé stessi in mezzo al caos e sopravvivere a un’interminabile e tragicomica giornata. La dimensione parossistica e musicale da vita a questo esperimento meta teatrale che scorre tra risate, ritmo e momenti di grande coinvolgimento, fino al riconoscimento finale dei due gemelli, l’inevitabile soluzione della commedia che finalmente azzera il caos e scioglie ogni tensione.



CARUSO

“è una catena ormai che scioglie il sangue dint'e vene sai”

In occasione del trentennale dell’incisione di Caruso, brano di sublime ispirazione che ha avuto uno enorme successo internazionale (con oltre cento versioni in altrettante lingue), scritto e musicato dal grande Lucio Dalla e dedicato ad uno dei più grandi tenori di fama mondiale qual è stato Enrico Caruso, il regista e coreografo Mvula Sungani in collaborazione con il Comune di Sorrento, ha ideato e creato per l’étoile Emanuela Bianchini una nuova opera coreografica dal titolo Caruso.

La creazione vuole essere un omaggio all'Italia, a Napoli, a Sorrento e a due artisti che negli ultimi secoli l’hanno resa grande nel mondo: Enrico Caruso e Lucio Dalla. In un momento storico così complesso come quello che stiamo vivendo, diventa ancor più fondamentale conoscere a fondo il proprio passato per costruire un futuro che sia più solido possibile; da questo pensiero nasce il nuovo lavoro di Mvula Sungani. Arie d’opera con la voce di Enrico Caruso rimasterizzata, canzoni interpretate da Dalla, unite alla musica napoletana contaminata in world music, saranno rese “tridimensionali” grazie all’étoile Emanuela Bianchini e la Mvula Sungani Physical Dance.

Lo spettacolo co-prodotto da CRDL APS, AREALIVE e PDA, è realizzato con il sostegno del Comune di Sorrento, della Fondazione Lucio Dalla e della Fondazione ILICA di New York.


IFIGENIA IN AULIDE

Note di regia
Ultima delle tragedie euripidee, rappresentata postuma nel 399 a.C. in un periodo di profonda crisi del modello della pòlis greca – di lì a poco ci sarebbe stata la disfatta di Atene contro Sparta e la fine di un modello politico e democratico; Ifigenia in Aulide è una
tragedia ambigua in cui, come nell’Alcesti, si mette in scena un sacrificio e una morte che poi si riveleranno apparenti. Gli dèi di fatto non ci sono più, il tragico sembra franare: gli eroi in Euripide sono solo uomini lacerati, deboli, mutevoli che agiscono in base ai loro desideri e alle loro paure, lontani anni luce sia dal modello omerico che da quello eschileo. A dominare è la ragione strumentale e il discorso del potere. Emblematico, in questo senso, è il trattamento che Euripide fa di Achille, eroe demitizzato, quasi un personaggio comico, incapace di corrispondere al suo stesso mito originario; che non agisce, evita lo scontro con i soldati facendosi paladino, alla maniera dei sofisti, della persuasione e del dialogo, pur ripetendo – quasi volesse rincorrere quell’Achille omerico che Euripide non gli permette di essere – che lui salverà Ifigenia. Come quando dice a Clitemnestra: «Ti sono apparso come un dio e non lo ero. Ma lo diventerò».
La crisi del sacro in Euripide emerge anche dalla figura dell’indovino, qui considerato dai protagonisti alla stregua di un volgare ciarlatano, di un imbonitore funzionale a tenere a bada la massa. Nella costruzione dello spettacolo, ho voluto seguire il trattamento euripideodel mito cercando di far emergere la violenza che abita il testo e le contraddizioni di personaggi che Euripide presenta come “umani troppo umani”; la loro inadeguatezza al mito, l’abisso del privato al di sotto del mascheramento della parola pubblica, l’ambizione, la doppiezza. Tutto è ambiguo, apparente, a cominciare dal dialogo iniziale tra Menelao e Agamennone, da cui emergono due figure deboli, mediocri e velleitarie, che si scambiano accuse dicendo la verità l’uno dell’altro. Euripide crea una tensione tra il mito e la realtà,
utilizzando il primo come mascheramento della seconda.
In questa versione di Fabrizio Sinisi, Agamennone è costretto dalla necessità verso cui lo spingono gli eventi a sacrificare Ifigenia, trascinato dal motore della Storia e da quella impossibilità di conciliare l’essere re con l’essere padre. Ma, ancor di più, a venire alla luce attraverso il verso di Sinisi è l’umano euripideo che, oltre le costrizioni oggettive in cui si trova incastrato il re, fa emergere il suo desiderio, la sua personale ambizione sempre accompagnata dalla paura e dall’incapacità di agire.
L’abbassamento di tutti i personaggi della tragedia è funzionale all’innalzamento della giovane Ifigenia, “nata forte”, che decide di sacrificarsi, di accettare e addirittura di volere il destino che è stato scelto per lei dal padre, in un trionfo di amor fati che solo può riscattare dalla febbre fagocitante che qui prende tutti i personaggi della tragedia – compresa Clitemnestra – ora lontanissima dalla donna implacabile e inconciliabile descritta nell’Orestea di Eschilo. Nell’esaltazione finale nella quale Ifigenia accetta la sua morte, c’è l’assunzione piena del punto di vista del padre Agamennone e del maschile, ma non per
debolezza: accettando e decidendo la sua morte Ifigenia si individualizza, esce dall’indistinzione diventando ‘qualcosa’ nella morte imminente, un comandante lei stessa, sollevando allo stesso tempo il padre amato dalla piena responsabilità del sacrificio.

Una scelta netta della regia è stata quella di recuperare nell’esodo, considerato spurio, l’ipotesi che a raccontare della sostituzione di Ifigenia con una cerva non fosse un messaggero ma il deus ex machina della dea Artemide. Nello specifico, ho voluto affidare il racconto dell’apoteosi della giovane a un’altra giovane donna, velata: una Straniera, volutamente interpretata dalla stessa attrice che interpreta Ifigenia, in modo da suggerire un cortocircuito emotivo (la voce della Straniera è la stessa voce che il pubblico ha ascoltato per più di un’ora, e solo il volto è interdetto dal velo) e allo stesso tempo svelare la natura
convenzionale del deus ex machina euripideo; quest’ultimo è suggerito peraltro da una battuta cruciale di Clitemnestra nel finale, quando dice: «come non dire che queste sono solo favole senza fondamento per farmi smettere di piangere a lutto per te?».
Poco importa se la giovane si è davvero salvata all’ultimo istante, il tragico si è già  pienamente dispiegato nella sua natura inemendabile, ed è passato all’interno della coppia, nella sfera borghese, segno di come la tragedia euripidea si sfaldi durante il suo farsi e annunci quasi il dramma borghese. Il finale, in cui Agamennone e Clitemnestra, marito e moglie stanno faccia a faccia, spogliati dagli abiti tragici è il compimento – che la regia ha voluto attuare - di questo slittamento dalla tragedia al dramma.

Alessandro Machìa

 

GAIUS PLINIUS SECUNDUS
L’ultimo viaggio di Plinio Il Vecchio


In occasione del bimillenario della nascita, il progetto è un viaggio immaginario, attraverso le allucinazioni , le speranze, le proiezioni e gli ultimi respiri di PLINIO IL VECCHIO. Il paesaggio è un luogo astratto, un limbo , un quadro sospeso, una barca da riparo, che diverrà letto di morte, dove prenderanno Vita tra sogno e realtà, gli elementi: fuoco, acqua, aria, terra.“ NATURA EST VITA “ nel 2023 in piena emergenza climatica , diventa una citazione ( di Plinio ) dal sapore quantomeno sarcastico, ed è proprio con questo sentimento che si racconteranno e verranno raccontati gli Elmenti , dall’antico splendore, a tratti barocco e sfavillante , all’attuale stato di dissipamento, come a dimenticare i loro Dei, in un mondo senza sentimenti verso la natura. La terra/acqua, il fuoco/aria non sono archetipi immobili, ma soggetti agenti, dinamici che disegnano e sviluppano e tessono una danza dell’emozione suscitando infiniti piani di riflessione. La vicenda di Plinius, uomo “curioso” , ora con toni grotteschi, ora tragicomici, si offre come un viaggio d’amore verso la madre terra.


Nota allo spettacolo
Cosa fa di Plinio argomento di teatro?
Innanzitutto l’attualità “antica” della visione del mondo e della natura : le questioni ambientali, climatiche , ecologiche hanno suscitato un ampio movimento, tanto sensibile ad un inderogabile cambiamento quanto conscio che qualsiasi soluzione richiede una partecipazione consapevole e una visione complessiva, ampia e “altra”. E dalle pagine della Naturalis Historia emerge chiara la personalità e lo spirito di Plinio che, come osserva Italo Calvino, è “animato dall’ammirazione per tutto ciò che esiste e dal rispetto per l’infinita diversità dei fenomeni”. Secondo il filosofo naturalista – non a caso – il nostro scopo è vivere in armonia con la natura, non cercare di sopraffarla, poiché ci dona tutto ma può anche riprenderselo.
Ma è soprattutto la curiositas, il desiderio di vedere e studiare da vicino i fenomeni, anche i più piccoli, che fa di Plinio materia di teatro: l’uomo che indaga, capace di stupirsi della infinite singolarità sia umane che naturali, come un complesso da avvicinare e conoscere. La ricerca del vero, il non accontentarsi del verosimile è il sentimento che emerge da Plinio ed esprime il pathos per l’universo e i suoi misteri
Per comprendere il modo di pensare e di agire di Plinio il Vecchio non bisogna tanto parlare della sua vita, quanto riferirsi alla sua morte. E nell’ultimo viaggio verso il Vesuvio, Plinio ci accompagna.
S’affretta proprio là donde gli altri fuggono. Va dritto, il timone verso il pericolo, così privo di paura da dettare e descrivere tutti i fenomeni del flagello che si compiva davanti ai suoi occhi.

Nota storica
Gaius Plinius Secundus , in occasione dell’eruzione del Vesuvio del 79 che seppellì Pompei ed Ercolano, si trovava a Miseno e volendo osservare il fenomeno il più vicino possibile ed aiutare alcuni suoi amici in difficoltà sulle spiagge della baia di Napoli, partì con le sue galee, attraversando la baia fino a Stabiae (oggi Castellammare di Stabia) dove trovò la morte, probabilmente soffocato dalle esalazioni vulcaniche, a 56 anni.

Personaggio poco frequentato, oggi, ma che - per la sua Naturalis historia - è stata riferimento in materia di conoscenze scientifiche e tecniche per tutto il Rinascimento e anche oltre .L’opera, quasi un’enciclopedia che tratta quanto di geografia, antropologia, medicina, botanica, biologia, zoologia e mineralogia era allora conosciuto, non gli risparmio le critiche dei moderni… ma da una prospettiva altra, emerge che l’insegnamento più prezioso in essa contenuto non attenga al sapere scientifico e svela, oltre la figura del compilatore quasi maniacale, un uomo dalla statura morale straordinaria.
Essere dio, per un mortale, è aiutare un mortale: ecco la via verso l’eternità… La vicenda dell’ultimo viaggio di Plinio il Vecchio è illuminante, fondamentale. Nel racconto di Plinio il Giovane allo storico Publio Cornelio Tacito che aveva l’aveva interrogato riguardo la morte dello zio, quell’ultimo viaggio svela un personaggio inedito. … Ad avvicinare Plinio al vulcano era stata, inizialmente, la curiosità del naturalista. Desiderava, infatti, appurare di persona le cause dell’enorme colonna di fumo che saliva dalla montagna. Poi, però, era sopraggiunta la preoccupazione dell’amico e del comandante militare. Era venuto a sapere che lungo le spiagge della baia di Napoli molti compatrioti si trovavano in difficoltà. Tra questi anche la nobildonna Rectinia che aveva inviato a Plinio una richiesta di aiuto. In quanto comandante della flotta di Miseno, egli ritenne suo dovere intervenire.La morte di Plinio, illumina la grandezza della sua vita. Vivere e morire come Dei, dunque, per Plinio il Vecchio significa : non aggiungere miseria al mondo, accrescere il proprio sapere, amare gli amici, soccorrere il prossimo, prendersi cura di sé. Saper vivere e saper morire si equivalgono , vivere e morire come Dei è non lasciarsi cambiare da un mondo stravolto. Potrebbe essere questa la visione che Plinio il Vecchio ci ha lasciato in eredità.

KAIROS

La trappola dell’incomprensione segue ogni parola quando è disincarnata dalla sua circostanza. E facendo il mestiere dell’attore — che richiede a freddo di ricollocare la parola nella carne — ho affrontato con gratitudine e meraviglia il compito di andare nei circuiti della mia memoria e ricordare i tanti momenti autentici e vivi in cui ho incontrato Kairos.

Questo testo nasce così. Qui rievoco le parole che ho avuto la fortuna di conoscere come veritiere e credibili ambasciatrici di Kairos. Non intendo il “concetto” teorico di Kairos, ma del tempo divino come esperienza concreta. Quello per cui Lisippo da Sikyon creò la sua celebre statua affinché gli umani la potessero vedere. Ecco, io ho fatto lo stesso, ma con le parole dei personaggi, dei testi, degli autori. Parole che rendessero o la Sapienza di una Rivelazione o la Carne di una Esperienza concretissima di un personaggio. Non il concetto spiegato, quindi, ma il sentimento vissuto e tremante, di quell’istante di una prima lettura in cui ci si gioca tutto. Non solo in ogni parola significante, ma anche nell’intersezione temporale tra esse. Senso e significato emergono come un lampo, qui, ora, e subito scomparso inghiottito dal mistero di eterno che entra ed esce dall’oblio.                                                                            gipeto

Cosa è Kairos, il tempo divino? Le parole dell’attore raccontano i momenti in cui la
vita ci concede di cogliere una occasione o ce la fa perdere per un soffio. E per l’attore è essenziale la visione del tempo visto come  kairos ; , condizione necessaria affinché sia pronto a rispondere alle sfide della vita e quindi capace di cogliere l'attimo per poterle affrontare e soprattutto esprimere… trasferire. Nessuna filosofia: per la scena il tempo Kairos è il tempo del teatro, una combinazione di attimi di
“pericolo” e “opportunità”. In questa visione si hanno infinite prospettive per partecipare  ad una nuova creazione", di essere protagonisti e non comparse di vite altrui. Con la scelta tra il pericolo e l'opportunità, si ha la possibilità di costruire qualcosa di nuovo da qualcosa di vecchio. Il tempo Kairos colma lo strappo con il vecchio modo  creando il  nuovo modo...
In scena l'attore e autore gipeto, l'attrice Cecilia Casini, la danza con Elisa Carta Carosi e le musiche originali di Marco Schiavoni.


ELENA o della passione amorosa

Per il mito di Elena, nell’adattamento teatrale di Salvo Bitonti dall’originale di Euripide con echi da Ritsos, si può parlare di un apologo sulle conseguenze della passione amorosa e di una riflessione sulla guerra.

Elena, ormai dimenticata da tutti, quasi una diva sul viale del tramonto, è prigioniera del proprio passato e vive in un grande teatro abbandonato. Nell’incontro che ha con lo stesso pubblico che va a trovarla su di un palcoscenico Elena compie un viaggio introspettivo. Spesso ricorda il suo amante, Paride o il marito Menelao e i personaggi del suo tempo come Ulisse e Penelope. La memoria ritorna anche agli episodi bellici che ha vissuto in prima persona e che sembrano riecheggiare recenti e attuali conflitti Ricordi che si acuiscono nella riflessione sull’irresponsabilità altrui nel decidere del nostro destino; dove il passato è popolato da fantasmi a cui nessuno fa caso mentre gli eroismi, i sacrifici, le sconfitte e la stessa incomprensibilità della guerra sembrano non aver senso.

Mita Medici ritorna a vestire i pann i di Elena, il grande personaggio del mito greco, dopo averla interpretata in un film nel 2007 accanto a Franco Nero, sempre con la regia di Salvo Bitonti .

Si tratta dell’adattamento teatrale di Salvo Bitonti dall’originale di Euripide con echi da Ritsos, si può parlare di un apologo sulle conseguenze della passione amorosa e di una riflessione sulla guerra.
“Elena, ormai dimenticata da tutti – spiega il regista –, quasi una diva sul viale del tramonto, è prigioniera del proprio passato e vive in un grande teatro abbandonato. Nell’incontro che ha con lo stesso pubblico che va a trovarla su di un palcoscenico Elena compie un viaggio dentro la sua memoria. Spesso ricorda il suo amante, Paride o il marito Menelao e i personaggi del suo tempo come Ulisse e Penelope. La memoria ritorna anche agli episodi bellici che ha vissuto in prima persona e che sembrano riecheggiare recenti e attuali conflitti. Ricordi che si acuiscono nella riflessione sull’irresponsabilità altrui nel decidere del nostro destino; dove il passato è popolato da fantasmi a cui nessuno fa caso mentre gli eroismi, i sacrifici, le sconfitte e la stessa incomprensibilità della guerra sembrano non aver senso”. Accompagnano il suo monologo vecchie canzoni, quasi sussurate dall’interprete, che evidenziano l’infinita dolcezza dei tanti amori perduti


LE NUVOLE

Un tuffo nell’immaginario giocoso e infantile, nella distesa immensa di paesaggi assolati, nel bagliore caldo delle fiaccole notturne, nell’incanto di un mondo dove tutto si dispone in un’armonica composizione: è questa la sensazione che ho ricevuto da Aristofane quando mi immersi per la prima volta nella lettura de LE NUVOLE. Meteorismi e defecazioni, lazzi, percosse, scherzi osceni, come per magia si fondono, senza alcuna stonatura, nella delicatezza delle immagini poetiche con le quali il drammaturgo ci fa librare in volo. Anzi, sta proprio in questo il fascino delle sue creazioni, in quella inafferrabile ed eterogenea varietà di colori, tipica delle opere dei grandi geni, che nel sottrarsi a regole e classificazioni, raggiungono le più alte vette della creatività. Aristofane ha un guizzo tutto suo: egli parte da una situazione iniziale di disagio di un personaggio o della collettività, per la cui risoluzione fa seguire l’elaborazione di un piano bizzarro. Di qui una serie di gag scoppiettanti, affidate ad una irresistibile carrellata di personaggi, quasi da Cartoon, presi ora dalla vita reale, ora dalla fantasia. In effetti, ci sono molte affinità fra il mondo scenico di Aristofane e quello di Walt Disney: dallo zoomorfismo dei Cori, che danno vita a gustose elaborazioni di figure animali, da cui prendono il titolo diverse commedie (Le Vespe, Le Rone, Gli Uccelli); alla fantasia con cui si materializzano figure allegoriche come i “Discorsi”’ de LE NUVOLE; all’uso degli oggetti animati, come avviene ne Le Vespe, in cui degli utensili vanno a deporre in tribunale; agli insoliti abbinamenti di parole e di effetti linguistici, tali da produrre un originale universo sonoro paragonabile a quello dei fumetti. E’ un mondo che trasmette gioia, freschezza, trasparenza, in cui l’osceno non è mai morboso e la profondità del messaggio passa attraverso i toni della leggerezza e della provocazione. Ne LE NUVOLE, il poeta condanna l’arroganza e la bizzarrìa intellettuale del personaggio Socrate, facendone il simbolo di una cultura emergente pericolosamente relativista e sovvertitrice, quella dei sofisti. L’immagine scenica del filosofo non corrisponde certo a quella reale, della quale tutti conosciamo la straordinaria statura morale ed intellettuale, ma consente ad Aristofane (seppur in maniera arbitraria) di seguire la sua personale ispirazione per una pungente ed esilarante satira contro il potere mistificatorio di certi fenomeni alla moda in grado di influenzare le masse, offuscandone le coscienze (quanto c’è di simile in quello che viviamo nella nostra moderna società!). Ecco, allora, che nella mia messinscena, Socrate compare su un trono sospeso nell’aria; la maschera che sembra di pietra e l’abito ieratico gli conferiscono un aspetto sacrale che induce all’assoggettamento. Assoggettamento che si fonda sull’ignoranza dei suoi interlocutori, i quali subiscono gli effetti della sua fascinazione, nella speranza di ricavarne guadagno. E’ la logica della rappresentazione, con cui il potere riesce subdolamente a dominare le masse. I Discepoli ne sono l’esempio più evidente: essi perdono la loro dignità di esseri umani; trasfigurati in “polli”, razzolano adoranti e affamati nell’aia del “padrone”. Altrettanto dura è la critica mossa contro la disonestà del rozzo Strepsiade, incarnazione della stolta meschinità di chi, alla ricerca di facili e illecite scorciatoie, si fa irretire accettando qualsiasi insensatezza. Aristofane ama provocare fino all’estremo, per spingerci a riflettere sulla precaria condizione che accomuna tutti gli esseri umani, ma lo fa nella ricerca di una perduta armonia e, alla fine, dopo il celebre agone dei Discorsi, si lascia andare ad una irriverente e canzonatoria ammissione: ”...siamo tutti dei culi aperti!”. E’ una grande lezione di libertà intellettuale, dove svetta un sentimento di riconciliazione, di riappropriazione del senso vero della vita, di una necessaria semplicità. Ed è con semplicità che mi addentro nel “pensatoio”, per imparare non a “imbrogliare” ma a “capire” e a gioire, insieme agli attori, della possibilità che mi è data. Diceva Hegel: “Chi non ha letto Aristofane non può capire cosa vuoi dire la felicità”. Sono trascorsi 2400 anni dalla prima rappresentazione de LE NUVOLE, avvenuta nel 423 a.C. ed è impressionante quanto l’opera riesca a conservare intatta e attuale la forza del suo messaggio. L’attacco contro i sofisti, dipinti da Aristofane come cialtroni, dediti a contrabbandare idee senza senso, pericolosi, in quanto capaci di attrarre i giovani con l’abilità dialettica, con la seduzione dell’effimero, allontanandoli dai valori veri, oggi potrebbe essere rivolto contro la degenerazione del sistema televisivo e dei social, che riesce ad imporre fenomeni e modelli spesso senza alcuna consistenza. Cito a questo proposito un passo tratto dal saggio HOMO VIDENS, in cui Giovanni Sartori (il più grande sociologo e politologo italiano) critica la deformazione dei criteri della comunicazione televisiva: “...la visibilità è garantita alle posizioni estreme, alle stravaganze e alle esagerazioni: più una tesi è sballata e più viene reclamizzata e diffusa. Le menti vuote si specializzano in estremismo intellettuale, e cosi acquistano notorietà, diffondendo vuotaggini. Ne risulta una formidabile selezione alla rovescia. Vengono a galla i ciarlatani, i pensatori da strapazzo, i novisti a ogni costo, e restano in ombra le persone serie e veramente pensanti…”. Credo sia arrivato davvero il momento di rinnovare profondamente la nostra società, offrendo ai giovani una visione positiva e costruttiva del futuro, facendoli sentire parte di una collettività, in cui le azioni del singolo hanno un peso determinante per il bene e lo sviluppo comune. Anche questo invito ci viene dai Greci.

Vincenzo Zingaro

 

 Grandi Processi dell’antichità

Lo spettacolo della giustizia ovvero processi e orazioni giudiziarie del mondo antico: ecco il cuore della nuova produzione che è omaggio al più geniale avvocato di tutti i tempi, Cicerone, e al grande artista Piero Nuti, da sempre in prima linea nel proporre un teatro “nutriente per la consapevolezza degli individui e prezioso per l’autoanalisi di un’intera comunità”.
Grandi processi dell’antichità è una nuova produzione della Compagnia Torino Spettacoli, realtà di primo piano nel panorama nazionale con specializzazione trentennale nei Classici antichi, restituiti allo spettatore di oggi. L’idea di proporre i grandi processi e le grandi orazioni dell’antichità nacque all’inizio degli anni ’50, a Genova, grazie al felice incontro tra il Professor Francesco Della Corte e un gruppo di universitari amanti del teatro, tra cui Vito Molinari e Piero Nuti che li presentarono con enorme successo nelle Università e nei teatri d’Italia. I fatti raccontati in questi processi sono antichissimi ma lo spirito in essi contenuto e le parole con le quali sono comunicati toccano direttamente la sensibilità contemporanea. La struttura drammaturgica curata da Elia Tedesco, al fianco di Piero Nuti sulla scena in questi anni nei lavori ciceroniani, e da Gian Mesturino, offre una carrellata e fa rivivere i passaggi più appassionanti degli adattamenti firmati dal maestro: Processo a un seduttore (Pro Caelio), Processo per corruzione (In Verrem), Il coraggio fa 90! (Pro Milone) e Processo a un cittadino (Pro Archia Poeta).
In Processo a un seduttore Cicerone difende Marco Celio Rufo, suo allievo ed amico, da una serie di pesanti accuse e, insieme alla trattazione più tecnicamente giuridica del fatto, utilizza molto lo strumento comico, con larghissimo uso dell’ironia, insieme al ridicolo nei fatti (exordium per insinuationem, le prosopopee, il racconto dei servi e della pisside) e nei detti (doppi sensi, giochi di
parole, richiami e allusioni di versi tragici e comici, gaffes, lapsus imbarazzanti). Dal testo, oltre all’approccio cognitivo con una delle più interessanti orazioni giudiziarie e tutte le implicazioni di natura storica, politica, giuridica e retorica che comporta, emerge un quadro attendibile delle relazioni sociali a Roma durante la metà del I sec. a. C.
Processo per corruzione a poco più di vent’anni dalla morte di Craxi ne richiama la figura, ricordando un sistema politico tramontato agli inizi degli anni ’90 con Mani pulite. La riflessione sulla corruzione guarda al mondo antico, addirittura alla Roma repubblicana. Al processo che vide Verre, governatore della Sicilia qualche millennio fa, corrotto e corruttore, ladro di opere d’arte e il primo a creare editti “ad personam”. L'avvocato dell'accusa era appunto Marco Tullio Cicerone: le orazioni da lui scritte erano state così efficaci che Verre aveva preferito lasciare Roma prima della fine del processo, perché aveva capito che sarebbe stato sicuramente condannato. Fu nelle Verrine che per la prima volta Cicerone utilizzò la celebre esclamazione: o tempora, o mores!, divenuta proverbiale per rimpiangere
le virtù passate e deplorare la corruzione imperversante nella propria epoca.
“Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno”: ecco Il coraggio fa 90 ! (Pro Milone) in cui si arriva a dimostrare l’impossibilità del... reale! Nel foro presidiato dalle truppe schierate da Pompeo, Cicerone dovette subire un’inusitata presenza delle armi e le urla intimidatorie dei Clodiani e non potè pronunciare la sua orazione. La sentenza di condanna con cui si chiuse il processo indusse Milone a rifugiarsi in esilio a Marsiglia.
In Processo a un cittadino l’attenzione è rivolta al concetto di cittadinanza, mobile e capace di  evolversi in relazione al periodo storico, al territorio, alle civiltà e alle istituzioni: si adatta per rispondere ai fenomeni politici, sociali,culturali ed economici. Variano i contenuti stessi della cittadinanza, in termini di diritti e doveri dei cittadini, e variano i criteri per l’acquisizione della cittadinanza. Dal mondo antico alla cittadinanza globale, le suggestioni sono molte.
Correva l’anno 62 a.C. quando Cicerone assunse la difesa di Archia che era stato attaccato in realtà per interessi politici per colpire
indirettamente Licinio Lucullo, uomo di spicco e nemico di Pompeo Magno. Il processo fu intentato in seguito all'approvazione della Lex Papia, con la quale si espellevano gli stranieri da Roma e si cercò di far ricadere Archia all'interno di questa categoria affermando che non era in possesso della cittadinanza. Cicerone, discepolo di Archia, durante la sua arringa presenta come ovvio il diritto di
cittadinanza e evidenzia i grandi meriti del poeta, atti a valergli la cittadinanza anche nel caso non la possedesse. Questa orazione sottolinea l’importanza per ogni uomo di crearsi un solido bagaglio culturale e una buona padronanza dell’arte della parola.

 

ULISSE RACCONTA ULISSE

Ulisse è arrivato alla corte dei Feaci, il grande viaggio, le grandi avventure alle spalle. Adesso nel mondo incantato di Alcinoo dove l’ha accolto Nausicaa, lui ha un solo obbiettivo essere trasportato a casa da una delle navi magiche di quel popolo caro a Poseidone. Dunque, con la sua solita abilità e astuzia, inizia il racconto. Ma prima di tutto si presenta con il nome che lui pensa in quel momento sia l’unico a rappresentarlo: il mio nome è odio, dice per iniziare e cominciare a tessere le vicende di un guerriero ma soprattutto di un reduce costretto a compiere un lungo percorso per ritrovare Ulisse e non essere più Odisseo. Così, narra da reduce, tutte le guerre producono reduci, uomini che hanno vissuto l’inferno e che non sono più in grado di tornare indietro. A lui invece, ma non ai suoi compagni che moriranno tutti nel grande viaggio del ritorno durato dieci anni, è concessa questa opportunità. Lui può tornare a casa ma per tornare è necessario che si purifichi e prenda conoscenza del mondo, della madre terra, di tutti gli elementi di cui lui, guerriero, non solo non si è accorto ma verso i quali ha compiuto azioni violente. Così il passaggio essenziale è Circe, la maga. Lei, infatti, gli apre le porte dello sconosciuto e gli permette l’attraversamento tra profezie di Tiresia, Sirene, Ciclopi, venti di Eolo e così via. Alla fine del suo racconto, eccolo nel mondo dei Feaci a dire: il mio nome è Ulisse e va verso Itaca trasportato da una nave magica. Nell’ultima parte, Ulisse non ha più voce è solo un puntino all’orizzonte, una vela latina, mentre da Itaca, guardando il mare e il padre di nuovo fuggito, ci parla Telemaco che ha il compito di riportare il regno di Itaca alla normalità dopo la grande strage dei proci. Adesso Ulisse è un senza nome, lì sulla barchetta è un uomo in cerca di altri mondi, è l’avventura e la ricerca dell’intera umanità.


Parola di donne
Nello spettacolo le attrici della Compagnia EBE Koinè daranno vita alle immortali eroine del mito:Clitemnestra, Nausicaa, Elena, Cassandra, Penelope, Circe, Didone, Elettra, Andromaca rivivranno sulla scena le passioni che hanno determinato il loro destino: amore e odio, sensualità e vendetta, religiosità e tradimento, pulsioni potenti che hanno generato gli Archetipi femminili e che si mescolano nell’impasto del pane profumato con cui la Fornaia nutre noi mortali. Donne fedeli fino al sacrificio di sé stesse, fedifraghe senza rimorso, pervase di amore, fragili, immortali, caste, sfrenatamente erotiche…


Introduce Zenaide, la Fornaia, un personaggio che respira l'aria senza tempo delle altre, che osserva e nutre con il pane del racconto.
Le loro Parole sanno del sale di lacrime vere e di mare, di leggenda e di mito.
Sono Parole che attraversano il tempo per farsi ascoltare.




CARMEN

Sangue, amore, morte, sono questi gli ingredienti di questo nuovo spettacolo.

Il sipario si apre con la scena finale e poi attraverso una voce narrante si snoda man mano come riavvolgendo simbolicamente un nastro,come in un flashback, fino alla scena iniziale. Credo che nell’immaginario collettivo, quando si parla della Carmen, la si associ a delle immagini immediate: zingari, ventagli, Spagna, toreri e a tutto ciò che il melodramma di Bizet si porta dietro; ho quindi pensato di andare in profondità, di immaginare una Carmen e soprattutto gli altri personaggi con delle sfumature e dei profili completamente diversi o comunque mai rappresentati. Il rapporto che lega Josè a Carmen è quello distinto dalla consapevolezza dell’amore e del destino intesi come un’entità fatalmente predeterminata, che vive sapendo perfettamente di non poterla alterare.

I Solisti della Compagnia Almatanz sono gli interpreti principali di questa edizione.

















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