Teatri di Pietra 2023 MALBORGHETTO Calendario e Sinossi

SOPRINTENDENZA SPECIALE ARCHEOLOGIA BELLE ARTI E PAESAGGIO DI ROMA
Teatri di Pietra 2023


Teatri di Pietra Arco di Malborghetto
Roma 6-13 luglio- orario 21,00
 
ARCO DI MALBORGHETTO
via Barlassina, 1 - su la via Flaminia prima del Bivio di Sacrofano
 
 
 
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* ingresso con prenotazione online OBBLIGATORIA
* online www.liveticket.it
whatsapp 351 907 2781
www.teatridipietra.it / fb teatridipietra
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---------- gio 6 luglio
Mda Produzioni Danza
ERATOSTHENES
contributo letterario e ricerca storico-scientifica
Prof.ssa Michela Costanzi, Prof.Fabio Pallotta
drammaturgia Sebastiano Tringali
regia e coreografia Aurelio Gatti
costumi Marina Sciarelli Genovese
con Carlotta Bruni, Lucia Cinquegrana, Elisa Carta Carosi
Matteo Gentiluomo, Rosa Merlino, Paola Saribas
e gipeto, Chiara Meschini, Sebastiano Tringali
 

---------- ven 7 luglio
Gruppo della Creta
ACARNESI
di Aristofane
adattamento Anton Giulio Calenda e Alessandro Di Murro
regia Alessandro Di Murro
con Matteo Baronchelli, Alessio Esposito
Amedeo Monda, Laura Pannia
 

---------- mer 12 luglio
TTR Il Teatro di Tato Russo
GAIUS PLINIUS SECUNDUS
L’ultimo viaggio di Plinio il Vecchio

drammaturgia Diego Sommaripa e Noemi Giulia Fabiano
musica Marco Schiavoni
danza Luca Piomponi, Lucia Cinquegrana, Elisa Carta CArosi
con Rino Di Martino
 
 
---------- gio 13 luglio
ASTRA ROMA BALLET
DANTE, sommo Poeta
direzione artistica Diana Ferrara
coreografie G. Primiano, F. Paparozzi
musica Marco Schiavoni
con Giada Primiano, Giorgia Montepaone, Federica Bisceglia
Alex Provinciali, Alessandro Scavello, Fausto Paparozzi
e la partecipazione dell’attore Graziano Sirci​
 
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Sinossi
 
TERRA PIATTA, ERATOSTHENES

Proprio nel nostro Occidente iper-tecnologico e progredito  sta tornando un pensiero magico e fanatico che muove l’onda di irrazionalità che si nutre e cresce nella
convinzione che le proprie aspettative siano state “tradite”. La diffidenza verso la scienza è una conseguenza : già perché tante sono le istanze e le richieste da soddisfare  e la scienza umana non è quella dalle risposte immediate, con soluzioni certe e infallibili: essa procede piuttosto per “prove ed errori”. Quindi ha bisogno di tempo, ha bisogno di sbagliare per avanzare e deve continuamente sperimentare. E questo “tempo” non le è concesso perché si vuole tutto, subito e anche definitivo, foss’anche  per tornare alla “normalità del prima. Quanto avvenuto durante la pandemia ne è una dimostrazione evidente .
La fuga nell’irrazionale è l’inevitabile esito di infinite aspettative soggettive insoddisfatte,  legittime in quanto nate e alimentate dalle promesse di quell’ordinamento “produttivo” che ha governato dal dopoguerra ad oggi e che ora mostra un chiaro affanno.  Tante le avvisaglie … la recrudescenza di fondamentalismi religiosi, culturali , di genere e razza, il timore/angoscia dell’altro, l’abuso della discontinuità come metodo per riaccendere dinamiche assenti su argomenti importanti come il sociale, la formazione, la cultura e la politica. Si è passati dalle avvisaglie ai cortei, alle sfide nelle piazze, alla diffidenza per  lo scienziato/ricercatore..   …  per arrivare  all’antiscienza per cui circa tremilioni di italiani sono sicuri che la Terra sia piatta .


Da queste premesse è nato il progetto Terra Piatta
he non vuole essere una risposta ai negazionisti dell’ultima ora: il “terrappiattismo” è il pretesto per affrontare il tema della  Comunità, della sua crescita e del suo nutrimento. La tentazione “irrazionale”  corrode nell’intimo l’idea stessa di comunità e i suoi principi fondanti: convivenza, coesistenza, libertà, confonto e , soprattutto, prospettiva .

Per fermare questo processo di logoramento della comunità, crediamo che attraverso la riscoperta di quei  pensatori - scienziati/ filosofi, armati più di ingegno che di tecnologia,  si possano  trovare argomenti e significati  per una rinnovata e slanciata tensione verso il sociale, la cultura, la scienza e comunque  orientata al bene comune . Importante è recuperare lo stupore del ricercatore, il senso esaltante della scoperta che emerge dallo scontro tra l’immaginazione e il rigore del metodo, mettendo a fuoco la natura comune e dialettica della ricerca.

La figura di Eratostene, in questa visione, è esemplare.  
Oltre la misurazione della terra, dell'inclinazione dell'eclittica e del meridiano terrestre, la tavola dei numeri primi , Eratostene non è solo un grande matematico o un grande fisico, ma è anche un grande filosofo che ha una concezione organica dell'universo. In contrasto con Platone, Eratostene afferma che non bisognerebbe dividere gli uomini tra barbari e Greci, ma secondo le loro qualità, in quanto non solo vi sono Greci pessimi ma "barbari" di alta civiltà. Eratostene , uno degli intellettuali più versatili della sua epoca, un tipico studioso dell'età ellenistica, con molteplici interessi, autore di opere di filologia e critica letteraria, di astronomia e matematica, cronologia e geografia,  stretto collaboratore di Archimede …. un grande esponenente della scuola del metodo dimostrativo che fa sì che la conoscenza non venga acquisita per il solo principio di autorità, ma attraverso la verifica e il contatto con la realtà.


Lo spettacolo, con la danza, il teatro e il canto, si offre come riflessione a tutto tondo sulle “sgomento”  che attraversa tutto l’Occidente :  migrazioni, cambiamenti climatici, conflitti, la digitalizzazione  e in ultimo la pandemia e la guerra ,  sono temi globali che suscitano disagio e destabilizzazione diffusa e necessiterebbero di risposte ampie, condivise e sicuramente di prospettiva.
Il teatro non è un farmaco contro il malessere contemporaneo, ma sicuramente è lo strumento più idoneo per riconnettere le diverse comunità : quelle di cittadini, quelle dei ricercatori e degli studiosi, quelle della cultura e dell’arte, quella dei giovani , etc. , rendendole  protagoniste e partecipi della prospettiva, rivitalizzando i significati di adesione, di cittadinanza, di futuro .



ACARNESI

La guerra non è mai un bell’affresco ma è sempre una rappresentazione di laceranti disumanità, volti terrificanti, espressioni prive di umanità. E’ un palcoscenico vuoto senza attori. Così è, così è stato, sul sarà dobbiamo sempre sperare.

Aristofane con la sua ironia tragica e parossistica tratta negli Acarnesi uno dei grandi temi che caratterizza tutta la sua opera: la pace. Ma la pace concreta, non quella utopistica della tradizione. Per Aristofane la Pace non è uno stato di calma mortifera ma di festa dionisiaca. Nel suo mondo si mangia e si beve, si fotte e si sfotte. Il bersaglio sferzante del riso e del divertimento è la meschinità di chi con la guerra specula e ilpianto è concesso solo ai poveri soldati che vanno a morire sui campi di battaglia.
Il coro degli Acarnesi, vecchi eroi di una guerra lontana, inizialmente disprezza Diceopoli, protagonista della commedia, il quale, in autonomia, ha stipulato la pace con la nemica Sparta. Ma i vecchi, scena dopo scena, si lasciano convincere e comprendono che la pace è l’unica vera gioia per cui combattere.

Nel testo si parla continuamente di un nemico esterno che nei fatti risulta indefinito ed invisibile. Tutti attribuiscono a Lui la colpa del male che li affligge. Ma il nemico non appare, non è in scena, per il semplice fatto che un nemico vero e proprio non c’è.

Ci sono, invece, le dinamiche politiche che dalla presenza di un “nemico” possono sempre trarre vantaggio e cioè: i delatori, gli ambasciatori corrotti, i mercanti di morte, i generali ambigui, gli spioni, i traditori e tanti altri (quanta attualità in queste invenzioni). Il nemico, quello “Utile”, sa trasformarsi e sopravvivere nei secoli: non viene mai sconfitto. Quel nemico è giunto fino a noi in gran forma e in forme diverse, forme aliene sempre in grado di confondersi alle paure più profonde, radicali e inconsce degli uomini. Il nemico appare sempre pronto a minacciare ciò che amiamo.

Quindi, poiché il nemico esterno non lo si può efficacemente combattere, in ogni società v’è bisogno di un agnello sacrificale (per dirla alla René Girard) o di un gruppo interno alla comunità che sacrifichi una parte di se per salvare la collettività tutta.

In Acarnesi il conflitto non nasce contro il nemico esterno, con cui alla fine della prima scena il protagonista stipula senza difficoltà la pace, ma è insito nella società stessa, nella polis, tra i propri simili, nei vicini, insomma nel demos. Sono le fazioni opposte che confliggono all’interno della società che nel testo cercano di elidersi, sopprimersi e scannarsi. Solo apparentemente la pace da stipulare è quella con l’odiata Sparta. La vera pace è quella da costruire all’interno della propria comunità.

Da qui l’insopprimibile desiderio di demolire, ridere ed esorcizzare la vacuità della nostra politica con spirito di festa, quasi, “dionisiaca”. In scena quattro poliedrici attori che attraverso un gioco continuo di cambio di identità e ruoli, celebreranno la commedia classica amplificando e a volte deformando lo spirito originario della commedia aristofanea. Macchine teatrali saranno i costumi che daranno vita ai personaggi e costruiranno la moltitudine del coro degli Acarnesi.
Un senso di ingiustizia verso il nostro tempo ci spinge ad affrontare la messa in scena di questa commedia antica. Ci irrancidiscono le notizie, che proprio nei giorni in cui ci prepariamo a costruire lo spettacolo, ci riportano di venti di guerra all’interno dell’Europa.
Le tristi notizie che tartassano i nostri cellulari e una sempre crescente sensazione di inadeguatezza ci pervade e ci ferisce. In comune accordo con la compagnia abbiamo deciso di affrontare questo senso di disorientamento non attraverso un grido di rabbia o di violenza ma con lo scherno, il riso e la burla. Come Diceopoli, anche noi, sentiamo il bisogno di agire sulla realtà, di invertire la marcia e di declamare il nostro desiderio di pace, sebbene sia solamente una pace privata.
Negli Acarnesi, invece, ci sembra di intravedere quella generazione del boom economico e quella subito successiva, che hanno vinto la grande sfida della ricostruzione. Una generazione in cui scorgiamo un infiacchimento, non per questioni anagrafiche, ma a causa della delusione per un mondo che ormai corre troppo veloce per loro. Queste due generazioni a confronto, quella dei giovani che desiderano costruire la loro realtà e quella di coloro che sentono che la propria vita sia stata dimenticata, sono una fotografia perfetta del nostro paese.
C’è un senso di vergogna che proviamo verso ogni forma politica che cerca di gestire la cosa pubblica. Questa insoddisfazione dovrebbe farci reagire ed invece ci rende solamente più delusi e depressi. Per questo lo spettacolo invita il pubblico a destarsi dal torpore attraverso la risata e la gioia. Perché è sconsolante pensare che ancora oggi le dinamiche che denuncia Aristofane non siano affatto cambiate. È vero che i classici sono tali perché racchiudono in sé delle verità eterne, ma che l’umanità continui a massacrarsi tra simili e tra diversi è una constatazione avvilente.



GAIUS PLINIUS SECUNDUS  
L’ultimo viaggio di Plinio Il Vecchio

In occasione del bimillenario della nascita, il progetto è un viaggio immaginario, attraverso le allucinazioni , le speranze, le proiezioni e gli ultimi respiri di PLINIO IL VECCHIO. Il paesaggio è  un luogo astratto, un limbo , un quadro sospeso, una barca da riparo, che diverrà letto di morte, dove prenderanno Vita tra sogno e realtà, gli elementi:  fuoco, acqua, aria, terra.“ NATURA EST VITA “ nel 2023 in piena emergenza climatica , diventa una citazione ( di Plinio ) dal sapore quantomeno sarcastico, ed è proprio con questo sentimento che si racconteranno e verranno raccontati gli Elmenti , dall’antico splendore, a tratti barocco e sfavillante , all’attuale stato di dissipamento, come a dimenticare i loro Dei, in un mondo senza sentimenti  verso la natura. La terra/acqua, il fuoco/aria non sono archetipi immobili, ma soggetti agenti, dinamici che disegnano e sviluppano e tessono una danza dell’emozione suscitando infiniti piani di riflessione. La vicenda di Plinius, uomo “curioso” , ora con toni  grotteschi, ora tragicomici, si offre come un viaggio d’amore verso la madre terra.


Nota allo spettacolo
Cosa fa di Plinio argomento di teatro?
Innanzitutto l’attualità “antica” della visione del mondo  e della natura : le questioni ambientali, climatiche , ecologiche hanno suscitato un ampio movimento, tanto sensibile ad un inderogabile  cambiamento quanto conscio  che qualsiasi soluzione richiede una partecipazione consapevole e una visione complessiva, ampia e  “altra”. E dalle pagine della Naturalis Historia emerge chiara la personalità e lo spirito di Plinio che, come osserva Italo Calvino, è “animato dall’ammirazione per tutto ciò che esiste e dal rispetto per l’infinita diversità dei fenomeni”. Secondo il filosofo naturalista – non a caso – il nostro scopo è vivere in armonia con la natura, non cercare di sopraffarla, poiché ci dona tutto ma può anche riprenderselo.

Ma è soprattutto la curiositas, il desiderio di vedere e studiare da vicino i fenomeni, anche i più piccoli,  che fa di Plinio materia di teatro: l’uomo che indaga, capace di stupirsi della infinite singolarità sia umane che naturali, come un complesso da avvicinare e conoscere. La ricerca del vero, il non accontentarsi del verosimile è il sentimento che emerge  da Plinio ed esprime  il pathos per l’universo e i suoi misteri

Per comprendere il modo di pensare e di agire di Plinio il Vecchio non bisogna tanto parlare della sua vita, quanto riferirsi alla sua morte. E nell’ultimo viaggio verso il Vesuvio, Plinio ci accompagna.

    S’affretta proprio là donde gli altri fuggono. Va dritto, il timone verso il pericolo, così privo di paura da dettare e descrivere tutti i fenomeni del flagello che si compiva davanti ai suoi occhi.

Nota storica
Gaius Plinius Secundus , in occasione dell’eruzione del Vesuvio del 79 che seppellì Pompei ed Ercolano, si trovava a Miseno e volendo osservare il fenomeno il più vicino possibile ed aiutare alcuni suoi amici in difficoltà sulle spiagge della baia di Napoli, partì con le sue galee, attraversando la baia fino a Stabiae (oggi Castellammare di Stabia) dove trovò la morte, probabilmente soffocato dalle esalazioni vulcaniche, a 56 anni.

Personaggio poco frequentato, oggi, ma che - per la sua Naturalis historia -  è stata riferimento in materia di conoscenze scientifiche e tecniche per tutto il Rinascimento e anche oltre .L’opera, quasi un’enciclopedia che tratta quanto di geografia, antropologia, medicina, botanica, biologia, zoologia e mineralogia era allora conosciuto, non gli risparmio le critiche dei moderni… ma da una prospettiva altra, emerge che l’insegnamento più prezioso in essa contenuto non attenga al sapere scientifico e svela, oltre la figura del compilatore quasi maniacale, un uomo dalla statura morale straordinaria.
Essere dio, per un mortale, è aiutare un mortale: ecco la via verso l’eternità… La  vicenda dell’ultimo viaggio di Plinio il Vecchio è illuminante, fondamentale. Nel racconto di Plinio il Giovane  allo storico Publio Cornelio Tacito che aveva l’aveva interrogato  riguardo la morte dello zio, quell’ultimo viaggio svela un personaggio inedito. …   Ad avvicinare Plinio al vulcano era stata, inizialmente, la curiosità del naturalista. Desiderava, infatti, appurare di persona le cause dell’enorme colonna di fumo che saliva dalla montagna. Poi, però, era sopraggiunta la preoccupazione dell’amico e del comandante militare. Era venuto a sapere che lungo le spiagge della baia di Napoli molti compatrioti si trovavano in difficoltà. Tra questi anche la nobildonna Rectinia che aveva inviato a Plinio una richiesta di aiuto. In quanto comandante della flotta di Miseno, egli ritenne suo dovere intervenire.La morte di Plinio, illumina la grandezza della sua vita. Vivere e morire come Dei, dunque, per Plinio il Vecchio significa : non aggiungere miseria al mondo, accrescere il proprio sapere, amare gli amici, soccorrere il prossimo, prendersi cura di sé. Saper vivere e saper morire si equivalgono , vivere e morire come Dei è non lasciarsi cambiare da un mondo stravolto. Potrebbe essere questa la visione che Plinio il Vecchio ci ha lasciato in eredità.



DANTE, sommo Poeta
Come sa di sale lo pane altrui…. (Dante XVII canto Paradiso)
Balletto in un atto e 12 quadri


L’Astra Roma Ballet di Diana Ferrara celebra la figura del padre della lingua italiana con lo spettacolo “Dante, sommo Poeta”, rappresentato anche nella stagione 2022/23.

La storica Compagnia fondata e diretta da quasi 40 anni dall’étoile Diana Ferrara, ha scelto di omaggiare il grande poeta con una creazione coreografica originale e interessante: un viaggio in danza attraverso la bellezza dei poetici sonetti giovanili tratti della Vita Nova e le splendide note poetiche della Divina Commedia. Il valore universale della poesia di Dante è da sempre un elemento importante dell’identità culturale italiana e della sua affermazione nel mondo. Per celebrare la forza del Poema, lo spettacolo analizza la figura di Dante dimostrando la sua attualità, con una narrazione contemporanea che non rinuncia alla profondità storica e critica. Ecco quindi gli incontri delle sue adorate figure femminili, le creature di Dio, che lo hanno salvato e aiutato nei momenti più bui del suo percorso….. l’incontro con i personaggi “grandiosi”, e anche sottolineando la severità, e la lotta nel condannare gli usurai, i ladri e tutti coloro che agivano per il solo proprio interesse.

“Dante, sommo Poeta” è senz’altro uno spettacolo innovativo, la coreografia di questo importante progetto artistico è stata affidata a Giada Primiano e Fausto Paparozzi, giovani ballerini e coreografi dell’Astra Roma Ballet che recentemente hanno dimostrato grande creatività, originalità e apertura a nuove forme coreografiche che fondono l’arte della danza con quella della musica, della poesia e del teatro.
In scena sei danzatori Giada Primiano, Giorgia Montepaone, Federica Bisceglia, Alessandro Scavello, Fausto Paparozzi, Alex Provinciali, insieme a loro l’interprete della voce recitante Graziano Sirci, attore di grande espressività. Le superbe musiche sono state scritte appositamente per questo balletto dal compositore Marco Schiavoni.

 




 
 
 
 
 
 
 

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